L’ingegneria-rizoma di “Manifeste dive” del Minimo Teatro

MACERATA – A proposito di “Manifeste dive” che il Minimo Teatro ha presentato in prima venerdì, subito, per una volta, prima i nomi degli artefici: Carla Camilloni, Giorgio Maria Cornelio, Rosario Culmone, Jennifer De Filippi, Valentina Lauducci, Serenella Marano, Mauro Mogliani, Elisabetta Moriconi, Michele Palmieri, Luca Rossi, Luisa Sanità, Lorenzo Vecchioni, David John Watkins, direttore dell’operazione Maurizio Boldrini su spunti testuali di Giovanni Prosperi e Gianfranco Bucich. In questo caso ribaltare la struttura della recensione iniziando con i nomi è necessario, perché questi nomi rimangano a memoria per una cosa mai fatta prima nella cosiddetta “storia del teatro” ed espressa nella definizione di “rizoma” (1967) da  Gilles Deleuze e Felix Guattari: “Il rizoma collega un punto qualsiasi con un altro punto qualsiasi, e ciascuno dei suoi tratti non rimanda necessariamente a tratti dello stesso genere, mettendo in gioco regimi di segni molto differenti ed anche stati di non-segni. Rispetto ai sistemi centrici (anche policentrici), a comunicazione gerarchica e collegamenti prestabiliti, il rizoma è un sistema acentrico, non gerarchico e non significante.”

Il rizoma è il movimento stesso del desiderio, “Manifeste dive” ne è, finalmente, il prototipo teatrale che, usando mezzi presi in prestito da geometria, logoritmica, drammaturgia, estetica, scultura, riesce a materializzarsi come “interesse”, letteralmente “essere dentro” al segreto delle cose, la più intima e rara delle facoltà poetiche. Ognuna delle trentadue scene di “Manifeste dive”, da Ines diva dell’Ingegneria Umanistica a Greta Garbo, meriterebbe un saggio, per lo meno una conferenza a parte, per il momento qui si preferisce il silenzio, necessario al cospetto di tanta, troppa, magnificenza.

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